LA CORTE DI ASSISE Sentita la eccezione di legittimita' costituzionale sollevata in udienza, nell'ambito del processo n. 07/1999 a carico di Madonia Salvatore, dal difensore degli imputati in procedimento connesso Ganci Calogero e Anzelmo Francesco Paolo secondo la quale: il contenuto dell'art. 12 comma 2 lett. b), dell'art. 13-quater comma 2 e dell'art. 16-septies della legge 15 marzo 1991, cosi' come modificati dalla legge n. 45/2001, sarebbe in contrasto con le statuizioni di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione; il contenuto dell'art. 16 lett. b) legge 13 febbraio 2001, n. 45, modificante l'art. 106 del vigente c.p.p., sarebbe in contrasto con le statuizioni di cui agli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione; Sentito il parere delle altre parti; O s s e r v a Secondo la prospettazione operata dal difensore di Ganci Calogero e Anzelmo Francesco Paolo la sanzione prevista dall'art. 13-quater legge n. 45/2001 all'inosservanza degli obblighi sanciti per coloro che collaborano con la Giustizia (tra i quali vi e' l'obbligo di sottoporsi ad esame nel corso di dibattimento), e cioe' la revoca delle misure di protezione concesse, priverebbe il collaboratore del concreto e veramente libero utilizzo della facolta' di non rispondere all'esame dibattimentale, una delle manifestazioni del diritto di difesa. Il collaboratore, sostanzialmente, non sarebbe piu' libero di esercitare il diritto - suo e di ogni imputato - di non rispondere, stante la gravissima sanzione prevista come risposta alla sua sopraindicata scelta processuale - la revoca del programma di protezione - che ne condizionerebbe negativamente il comportamento. Deve precisarsi che la questione non assume rilevanza ai fini della definizione del presente processo, inrelazione ad entrambi i collaboranti, stante il passaggio in giudicato nei loro confronti, sia delle sentenze relative al delitto di cui all'art. 416-bis c.p., sia di quelle relative agli omicidi del 1983/1984, conseguenti all'uccisione di Colletti Carmelo. Ne consegue che entrambi i collaboratori di giustizia debbono essere esaminati come testimoni, ex art. 197-bis c.p.p. e che gli stessi non possono avvalersi della facolta' di non rispondere. Ne deriva, dunque, che la prima delle due eccezioni di costituzionalita' proposte, risulta manifestamente irrilevante ai fini della definizione del presente processo. Quanto all'ulteriore eccezione di incostituzionalita' sollevata, sempre secondo la prospettazione operata dal difensore di Ganci Calogero e Anzelmo Francesco Paolo, l'incompatibilita' introdotta dall'art. 106 comma 4-bis c.p.p., contrasterebbe sia con il diritto di difesa, impedendo all'imputato di scegliere liberamente il proprio difensore, sia con il diritto di eguaglianza tra i cittadini, determinando una disparita' di trattamento tra la posizione dell'imputato che abbia reso dichiarazioni a carico di altri soggetti, imputati nei medesimo procedimento o in procedimento connesso, e quella di altri imputati che tali dichiarazioni non abbiano rese. Una ulteriore violazione del dettato costituzionale sarebbe da rinvenirsi nella illegittima compressione della liberta' professionale del difensore, di organizzarsi ed autodeterminarsi nella gestione della propria attivita' professionale, mortificando in tal modo la liberta' della iniziativa economica del soggetto. Conformemente a quanto deciso dalla quarta sezione della Corte di Assise di Palermo con ordinanza del17 maggio 2001, emessa nell'ambito del processo n. 10/2000, la seconda eccezione di incostituzionalita' sollevata dal sopraindicato difensore deve essere dichiarata non manifestamente infondata, nei limiti di seguito specificati. Infatti, l'art. 106 comma 4-bis c.p.p., introdotto dalla legge n. 45/2001, ha previsto una causa di incompatibilita' che si differenzia da quelle gia esistenti nel sistema processuale vigente, e costituisce una vistosa deviazione dai principi che regolano la materia dell'assistenza difensiva. Il diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione ricomprende, nel suo essenziale contenuto, anche la liberta' dell'imputato di scegliere il proprio difensore, secondo le proprie esclusive valutazioni, nell'ambito di un rapporto di carattere fiduciario. La Corte costituzionale, con sentenza n. 497/2000, ha gia' sottolineato che, nell'ambito del diritto di difesa, la prima delle facolta' esercitabili dall'imputato e' quella di scegliere un difensore di propria fiducia. Ne deriva, come esplicitamente indicato dall'art. 106 comma 1 c.p.p., che l'imputato puo', parimenti, affidare il mandato difensivo ad un avvocato che esplichi la medesima funzione. anche nei confronti di altri soggettiimputati. Dal diritto di difesa di cui all'art. 24 della Cost. deriva, dunque, il principio generale secondo il quale la difesa di piu' imputati puo' essere affidata al medesimo avvocato. Unico limite all'esercizio della difesa tecnica di piu' imputati, e' costituito dalla incompatibilita' delle posizioni processuali degli stessi, cosi' come indicato dall'art. 106 comma 1 c.p.p., che stabilisce, appunto, un limite interno discendente dalla stessa funzione del diritto di difesa. Detto limite esprime una garanzia di liberta' per il difensore, che altrimenti si troverebbe condizionato nelle sue scelte e costretto, conseguentemente, a comprimere l'una o l'altra possibilita' di difesa, qualora assistesse contemporaneamente soggetti portatori di interessi processuali tra loro inconciliabili. Diverso risulta essere, invece, il limite previsto dal comma 4-bis dell'art. 106 c.p.p., tendente ad evitare che piu' imputati - nel medesimo od in procedimenti connessi o collegati - possano comunicarsi informazioni e notizie relative alla altrui responsabilita': la norma, dunque, tende a scongiurare il pericolo di inquinamento della genuinita' e della spontaneita' delle dichiarazioni inerenti la altrui responsabilita'. Nel nostro ordinamento pero', questa esigenza connessa all'accertamento della verita' processuale, non puo' prevalere sul diritto di difesa e sulle facolta' allo stesso immediatamente derivanti, che non puo' essere sacrificato in vista di altre esigenze, non connesse ad interessi costituzionali di rango equivalente. La Corte costituzionale, con sentenza n. 361 del 1998, ha esplicitato che la funzione del processo penale - l'accertamento della verita' processuale - non puo' essere utilizzata per attenuare la tutela del diritto di difesa, che deve permanere piena e incoercibile. E, certo, non puo' dirsi che la nuova formulazione dell'art. 111 della Costituzione venga ad intaccare tale principio: al contrario, il dettato di tale articolo, cosi' come novellato, costituisce l'esaltazione del diritto di difesa, che e' intangibile ed impregiudicabile, e che certo non puo' essere limitato dalla necessita' di accertamento della verita' processuale. Ne', in tale ottica, puo' ragionevolmente operarsi una distinzione tra il diritto di difesa dell'imputato che collabori con l'autorita' giudiziaria e quello dell'imputato che non presti alcuna collaborazione. Nel bilanciamento tra il diritto di difesa, ivi compreso il diritto di scegliere il difensore di fiducia dell'imputato da parte dello stesso, e l'interesse ad assicurare la genuinita' nella formazione processuale della prova, deve attribuirsi prevalenza al primo, che e' un valore costituzionalmente garantito. L'esigenza di assicurare la piena autonomia tra le dichiarazioni eventualmente rese dagli imputati, non puo' integrare un limite esterno al diritto di difesa, che comporti una si' rilevante compressione dello stesso, cosi' come garantito dall'art. 24 della Carta costituzionale. Occorre, ancora, come prima accennato, sottolineare che il dettato dell'art. 106 comma 4 c.p.p., cosi' come introdotto dalla legge n. 45/2001, viene a creare una irragionevole disparita' di trattamento tra la posizione di imputati che rendano dichiarazioni relative alla responsabilita' di terzi, ed imputati che tali dichiarazioni non rendano. Infatti, e' solo per i primi che risulta essere stata prevista la impossibilita' di nominare un difensore comune, nonostante, in astratto, anche in relazione ai secondi si propongano questioni inerenti la genuinita' nella formazione della prova, in considerazione della possibilita' che gli stessi elaborino versioni comuni - e non veritiere - volte ad escludere la responsabilita' dei correi. Anche in tale caso e' ipotizzabile una irragionevole violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, in quanto la novella in esame crea una ingiustificata disparita' di trattamento tra situazioni che richiedono una identica regolamentazione, ispirata alla tutela del diritto di difesa che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, deve essere garantito a tutti in modo eguale e' con modalita' di esercizio adeguate (si veda Corte cost. n. 125/1979). Alla luce di quanto argomentato, la sollevata questione di costituzionalita' deve essere considerata rilevante, anche in relazione al fatto che la indebita sostituzione del difensore di uno degli imputati, darebbe luogo ad una nullita' di ordine generale, ex art. 178 primo comma lett. c) c.p.p., in quanto la mancanza di una norma transitoria implica l'applicazione del nuovo regime della incompatibilita' anche ai processi, come il presente, in corso. Dal che deriverebbe - e deriva - la necessita' immediata per l'imputato in procedimento connesso/collaborante, di nominare nuovo difensore, con elevata possibilita' di negative conseguenze sulle strategie difensive da adottarsi, e sul concreto esercizio del diritto di difesa. Da tutto cio' deriva il fatto che il presente giudizio non puo' essere definito, senza tenersi conto della risoluzione della questione di costituzionalita' che deve essere sollevata con riferimento all'art. 106 comma 4-bis c.p.p., come introdotto dall'art. 16 comma 1 lett. c) legge 13 febbraio 2001, n. 45, con conseguente sospensione delprocesso nelle more della definizione della sollevata questione da parte della Corte costituzionale, alla quale, ex art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, debbono essere trasmessi gli atti.